Razionale Scientifico

Ipertensione ed ipercolesterolemia contribuiscono in modo determinante ad aumentare il rischio cardiovascolare globale.
Tuttavia, nonostante un’ampia disponibilità di trattamenti farmacologici antipertensivi ed ipolipemizzanti, solo il 25-30% dei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare raggiunge i target di controllo pressorio e lipidico. Le ragioni di questa situazione sono complesse, ma un elemento centrale è rappresentato dalla ridotta aderenza dei singoli pazienti alle prescrizioni terapeutiche.

In effetti, la scelta della terapia anti-ipertensiva ed ipolipemizzante deve essere, necessariamente, personalizzata ed ottimizzata in rapporto ai livelli pressori e della colesterolemia, tenendo in debita considerazione il profilo complessivo di rischio cardiovascolare. In questo difficile scenario clinico le combinazioni precostituite di farmaci efficaci nella riduzione dei valori pressori rappresentano una rilevante opportunità. Le associazioni precostituite, infatti, hanno dimostrato di poter migliorare la compliance, perché semplificano il regime terapeutico, riducendo il numero di compresse da assumere ogni giorno. Questo aspetto risulta di particolare rilievo, in quanto un paziente con profilo di rischio cardiovascolare intermedio-elevato assume da 4 ad 8 compresse al giorno. In tema di ipercolesterolemia, se le statine continuano a rappresentare gli agenti di prima scelta, il loro impiego in monoterapia può non consentire di raggiungere i livelli di C-LDL raccomandati, soprattutto nei pazienti a rischio cardiovascolare molto elevato. In questi soggetti, infatti, l’obiettivo è raggiungere e mantenere un C-LDL inferiore a 70 mg/dl. In questi casi è ormai ampiamente documentata l’efficacia, in associazione alle statine, di ezetimibe. Questo farmaco può essere utilizzato anche in monoterapia, in particolare nei pazienti in cui è controindicato l’uso delle statine, ovvero in caso di intolleranza individuale alle statine medesime per effetti collaterali o razioni avverse. 

Si parlerà inoltre di scompenso cardiaco che ha raggiunto proporzioni di una vera e propria epidemia. Si stima che i pazienti affetti da scompenso cardiaco siano oltre 15 milioni in Europa e oltre 730.000 in Italia, un numero che è destinato a crescere.
Lo scompenso cardiaco rappresenta già ora la principale causa di ospedalizzazione e, di fatto, la morbilità e la mortalità di questa sindrome superano quelle di molte neoplasie, nonostante i miglioramenti ottenuti fino ad oggi nel management dei pazienti ambulatoriali. In questo scenario, l’introduzione di farmaci atti a modulare l’attivazione neuro-ormonale tipica del cuore scompensato, come i beta-bloccanti e gli ACE-inibitori (ACE-I), ha comportato un netto miglioramento della sopravvivenza e dei tassi di riospedalizzazione dei pazienti affetti da scompenso cardiaco di qualsiasi eziologia. Tuttavia, nonostante l’introduzione in terapia di questi farmaci, non si è riusciti a controllare in maniera completa l’attivazione del SRAA, né a modulare la sintesi dell’aldosterone. Proprio in questo ambito trova un razionale di impiego la classe degli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRA), comunemente denominati antialdosteronici, raccomandati dalle ultime linee guida ESC del 2016 in tutti i pazienti sintomatici (classe NYHA II-IV) con frazione di eiezione ventricolare sinistra ≤ 35%, per ridurre la mortalità e l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca.


L’evento formativo si propone di approfondire i diversi aspetti della gestione clinica dell’ipertensione arteriosa, dello scompenso cardiaco e dell’ipercolesterolemia, offrendo una visione a 360° e un diverso approccio alla patologia per poterla affrontare e curare nella pratica quotidiana.